per me è splendido.
(come vedermi, per tanto..qualcosa che mi aggredisce e mi innamora
..e mi lascia senza fiato e senza parole)
Alina Marazzi,"un'ora sola ti vorrei", 2002.
Alina cuce insieme un tessuto che è dei più fragili e delicati. un tessuto che ogni volta che si lacera provoca dolore, perché le emozioni fanno parte della sua trama, va trattato con estrema attenzione, con dita sapienti che sappiano restaurare un pizzo antico, e lei ci riesce con ammirevole equilibrio. Tratteniamo il fiato ogni volta che sfiora un punto più corroso, temendo di vederla cadere - e noi con lei - nel sentimentalismo e nell'angoscia, e invece alla fine quasi ci pervade un senso di leggerezza, dopo aver accompagnato questa giovane donna - sua madre - attraverso una malattia esistenziale che la porterà alla morte, lo sappiamo fin dall'inizio, eppure nel film non si vede, anche se è lì, inevitabile come nella realtà.
Siamo in una ricca famiglia borghese, quella dell'editore Ulrico Hoepli. La borghesia, come da tradizione, si mette in mostra, e qui lo fa in modo ossessivo, registrando su pellicola ogni momento di felicità familiare. Questi home movies sono delle celebrazioni ipocrite, un ritratto di superficie, in oscuro contrasto con quanto stava accadendo nella mente di Liseli, la protagonista, che da questo ambiente si sente schiacciata, sempre inadeguata rispetto ai modelli con cui è cresciuta: la madre, una madre perfetta mentre lei si sente incapace nei confronti dei figli; un padre troppo autorevole ed esigente, principale colpevole e artefice della messinscena; e perfino l'amore fra i suoi genitori, nonostante lei stessa viva una vera storia d'amore che l'accompagnerà fino alla fine.
Lo scheletro della sceneggiatura è costituito da una scrittura molto particolare, quella più privata che esista, delle lettere e dei diari, parole che lottano con le immagini, le smentiscono, le spogliano, le svuotano. Immagini che, una volta private del velo, attraverso le riflessioni profonde e poetiche sul vivere di Liseli, vengono mostrate per la loro falsità. Ci sono poi i suoni e i rumori: canzoni dell'epoca, suoni originali registrati, rumori d'ambiente e pensieri ad alta voce. Il motivo che dà il titolo al film ha diversi strati di significato - un'ora è anche la durata del filmato - e si ripete nella versione originale del 1938 - allora cantata da fedora mingarelli - fino alla versione cantata alla fine degli anni sessanta dagli showman.
Le due fonti, Liseli Marazzi Hoepli e Ulrico Hoepli, vengono investite in prima persona da Alina, poiché, oltre ad aver trasferito in digitale e poi rimontato le immagini girate dal nonno, è lei stessa a leggere le parole della madre, in questo modo, la regista fagocita il passato della sua famiglia e ne rivive le contraddizioni sulla sua pelle. La rivisitazione, il ricordo, l'ora da passare con la madre, diventano una forma di riappropriazione dell'identità, un doloroso ricongiungersi con se stessi e l'amara constatazione di una distanza. La ricerca di quel volto, di quel corpo, di un affetto perduto, attiva, inoltre, un parallelo con il funzionamento tipico del dispositivo cinematografico: infatti, "un'ora sola ti vorrei" diventa cinema per la forma nostalgica che assume, per il desiderio verso un'assenza, per la volontà irrealizzabile di toccare e di essere toccati da una figura fantasmatica.
-