Ettore Sottsass in India, 1988
Una volta, molti anni fa, ho fatto una piccola ceramica e l'ho data in mano alla mia ragazza, lei si è messa a piangere e mi ha baciato:
in questo modo ho inciso sul mondo circostante.
Che cosa è l'instabilità per te? Nelle tue opere si trovano spesso cubi in bilico, forme poggiate di spigolo… come la controlli, come ci stai di fronte?
Prima ti dicevo che diventando vecchio questa idea della instabilità è sempre più violenta. L'instabilità è l'accettazione della non verità, la non esistenza di una verità, l'abitudine, ad esempio, alla quale mi sto abituando da anni, a non giudicare o a giudicare molto da lontano, ma soprattutto l'idea che tutto si distrugge, che tutto si costruisce ma si sa già che si distrugge. Tu vivi ma sai già che puoi anche morire, non so bene, c'è sempre questo duplice pensiero che porta a immaginare che tutto è instabile; non c'è niente di definitivo, neanche l'acciaio inossidabile, niente niente niente niente, la vita è instabilità, e io tengo conto di questo nel disegnare. Quando parlo di modestia, di calma, di pazienza, dietro c'è sempre l'idea che non sei uno capace di toccare la verità, mai.